Comunicato stampa dell’Associazione degli Avvocati Contemporanei, Sezione di Smirne  
26 gennaio 2006

Alla stampa e all’opinione pubblica

Il 24 gennaio 2006 il Tribunale Europeo dei Diritti Umani ha emesso una sentenza su un caso importante che riguarda la Turchia.

Riassumendo, la sentenza conferma che processare, arrestare, condannare e perseguitare le persone che usano il loro diritto all’obiezione di coscienza che la legislazione nazionale fa diventare un circolo vizioso, è un “trattamento degradante” secondo l’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti Umani.  Nella stessa sentenza, viene notato che [in Turchia] non c’è nessuna norma che concerna l’uso del diritto all’obiezione di coscienza, che c’è bisogno di creare misure a questo fine, e che i metodi usati contro l’obiezione di coscienza non possono essere giustificati in uno stato di diritto basato sui diritti umani. 

Immediatamente dopo la sentenza, il fronte della burocrazia ha incominciato il processo di manipolazione dell’opinione pubblica con dichiarazioni secondo cui questa decisione non ha niente a che fare con l’obiezione di coscienza e con commenti fuorvianti sull’”unicità” delle circostanze in Turchia.  Si impediscono la discussione generale e gli sforzi verso la risoluzione dei problemi divinizzando istituzioni e circostanze.  È anche significativo che i paladini della santità di certi doveri sono di solito non quelli che vi ottemperano per obbligo ma professionisti che vengono pagati per i loro servizi. 

Anche se il Tribunale Europeo dei Diritti Umani non avesse emesso una sentenza su questo problema, era inevitabile che la Turchia prendesse delle misure per risolverlo.

Nel contesto di questa sentenza è doveroso discutere non solo l’obiezione di coscienza, ma anche la giurisdizione e la legislazione militare.  Che le autorità militari e civili che sono coinvolte in cooperazione e scambi intensi con gli eserciti dell’Occidente per quanto riguarda armamenti, munizioni, organizzazione e cooperazione strategica, respingano, appellandosi all’”unicità” delle circostanze in Turchia, le rivendicazioni che puntano alla standardizzazione delle norme che riguardano gli obblighi militari e il riconoscimento dei diritti fondamentali dei cittadini costretti a prestare questo servizio, è contraddittorio e insincero.  Negare il diritto all’obiezione di coscienza può solo essere spiegato dalla necessità di una società militarizzata, non da necessità militari.

Come sostiene anche il Tribunale Europeo dei Diritti Umani nella sua sentenza, la repubblica turca deve immediatamente riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza e prendere misure legali a questo riguardo.  Inoltre, devono essere lasciate cadere le cause legali di chi attualmente viene processato presso i tribunali militari per diserzione e simili evasioni dal dovere del servizio militare, e quelli condannati e detenuti devono essere rilasciati.

In questo senso e come primo passo, l’obiettore di coscienza Mehmet Tarhan che viene messo sotto processo mentre è detenuto e la cui integrità fisica è a rischio, deve essere immediatamente rilasciato senza condizioni.  Anche se passano per “tribunali”, i doveri dei tribunali militari, che sono distinti dalla giurisdizione comune per quanto riguarda sia l’indipendenza dei giudici militari che le loro pratiche disciplinari e procedurali, che spesso hanno l’aspetto di un’appendice della disciplina e della gerarchia militare, devono essere limitati a questioni di disciplina militare.

Devono cessare i processi a civili e per reati civili nei tribunali militari, si deve cambiare il codice penale militare e la normativa di procedura penale e altre disposizioni procedurali che riguardano i diritti umani devono essere messe pienamente in pratica da questi tribunali.

Le prigioni militari che vengono usate come centri di detenzione e vengono mantenute al di fuori di tutti i controlli devono essere chiuse.

La pubblica accusa deve prestare l’attenzione necessaria e promuovere indagini sulle autorità militari che fanno affermazioni che costituiscono reati da codice penale.

Indubbiamente tutti quelli che hanno fatto l’esperienza di tre successivi colpi di stato militari e che, dopo ogni colpo di stato, sono stati soggetti a un’ulteriore militarizzazione, hanno e devono avere qualche cosa da dire su questa questione. 

Vorremmo ricordare che ogni uccisione perpetrata all’interno della catena di comando è un assassinio, e che un esercito “sacro” per un popolo è il nemico e il macellaio di un altro popolo.  Quello che viene divinizzato qui non sono gli individui, l’umanità o la società, ma un’autorità assassina.